Telefono:

+39 320 93 88 959

Email:

info@psicologiatrieste.it

Riceve:

Riceve a Trieste

Another Year, un altro anno.
Uno qualunque, uno che non brilla particolarmente per eventi speciali, uno dei tanti che si aggiunge al ciclo della vita.
Londra, oggi. Un oggi privo di data, analogo al “C’era una volta” che introduce al mondo senza tempo della favola.
Una scansione narrativa ripartita nelle quattro stagioni.
Una coppia matura, munita di figlio trentenne, che funge da perno gravitazionale per alcuni amici e parenti, anch’essi privi di un’età precisa ma appartenenti alla generazione dei baby boomer.
Attori dall’aspetto comune, lontani dalle bellezze hollywoodiane e non violentati dalla chirurgia plastica, che si muovono fra attività quotidiane: vite ordinarie di persone ordinarie.

Con questi semplici ingredienti Mike Leigh ha realizzato un film incredibilmente ricco, non soltanto superbo nella scelta degli interpreti, della recitazione, della regia – riconosciute da una candidatura al premio Oscar, 27 vittorie in prestigiosi festival in cui Leslie Manville ha fatto man bassa, più una cinquantina di altre nomination – ma capace di parlare allo spettatore su tantissimi, stratificati livelli.
Il film non è rincuorante. Il regista si pone come osservatore rispettoso e, grazie al cielo, non fornisce conclusioni.
Riuscire a stimolare il pensiero con tale sensibilità e finezza è, a mio avviso, uno dei punti di forza che mi ha spinto a voler scrivere sul film.

Another Year (2010)

Un film di Mike Leigh. Con Jim Broadbent, Leslie Manville, Ruth Sheene
Durata 129 minuti

Attenzione, spoiler!

Tom, ingegnere geologo e Gerri, consulente psicologa in una clinica, (già la scelta dei nomi è un dettaglio divertente che veicola un messaggio) sono sposati da decenni e hanno un figlio ancora single, Jim, che vive per conto suo e fa l’avvocato per gli indigenti. Non ha particolari talenti o attrattive, a parte l’essere giovane.
I due lavorano, coltivano un piccolo orto fuori città e nel weekend ricevono gli amici. Hanno un legame forte, appaiono appagati, gentili e solidali.

Mary é un’amica di lunga data di Gerri. E’ una donna ancora attraente, lavora come segretaria nella stessa clinica, ha avuto una serie di storie sentimentali disastrose ed è tuttora alla ricerca disperata di un uomo.
Maschera insicurezza e solitudine in diversi modi: parla in modo esuberante, si veste con orpelli da ragazzina, cerca di ridere di se stessa e di riformulare le sue sofferenze come fortune, aggrappata alla perniciosa ideologia del “pensiero positivo”, e nega di avere dei problemi con alcool e sigarette.
E’ lei che domina il film, rappresentando in modo spaventoso e convincente un personaggio tragico che si disintegra psicologicamente scena dopo scena.

Mary: Sono il tipo di ragazza che vede il bicchiere mezzo pieno

Anche Ken, altro amico della coppia, è ben avviato sulla strada del declino. Un tempo è stato un uomo attraente ma ora, pur restando persona di buon cuore, è in pessima forma fisica. Ken sembra incapace di accettare che sta invecchiando e di dare direzione agli anni futuri. Mette in discussione il significato del suo lavoro ma, pur odiandolo, non riesce a staccarsene, perché non saprebbe cosa fare del suo tempo.
Si riempie con quantità industriali di birra e cibo spazzatura, e non si cura più del suo aspetto nè della sua igiene personale.
Tenterà un goffo approccio con Mary che reagirà con disgusto, attratta piuttosto da Jim.

Né Mary né Ken saranno salvati dall’arrivo di un nuovo amore in sella a un cavallo bianco, come probabilmente sarebbe accaduto ad Hollywood.
Il film procede ciclico, lento e triste attraverso dei piccoli eventi che gradualmente portano Mary a stare sempre più male.
Tutto l’arco narrativo dedicato all’automobile, piccola e rossa, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto portarla verso la libertà e la gioia, é una narrazione simbolica di quanto avviene nel mondo interno di Mary.

L’illusione di un possibile futuro radioso collassa clamorosamente nel momento in cui Jim presenta in famiglia la sua fidanzata Katie, una ragazza melensa e vagamente irritante nella sua vivacità, che lavora come terapista occupazionale.
Il colpo é troppo forte e Mary non riesce ad accettare la verità. Preda delle sue emozioni, diventa invadente e sgarbata, e così l’amicizia con Gerri si dissolve in un lampo, poiché per quest’ultima é prioritario proteggere la sua famiglia. Mary viene completamente esclusa dal calore degli affetti ed espulsa dal gruppo, e occorreranno molti mesi prima che i nostri si incontrino di nuovo.

Un giorno, presumibilmente dopo l’ennesima notte di alcool e insonnia, Mary si presenta disfatta alla porta dei suoi amici per trovarvi Ronnie, il fratello di Tom socialmente disabile e intorpidito. Lui vi si è trasferito temporaneamente dopo la recente morte della propria moglie.
Anche lo spaccato che viene dato della famiglia di Ronnie è desolante. Non è stato certo un buon marito né un buon padre: ce lo fa comprendere il figlio Carl, bruciante di rabbia ed ostilità, in una manciata di minuti sullo schermo.

Al rientro a casa, Tom e Gerri sono sorpresi dalla presenza di Mary e cercano di trovare un modo per liberarsi della sua presenza sgradita. Tuttavia Mary cerca un riavvicinamento, offre delle scuse, chiede un perdono.
Freddamente Gerri, replica che é rimasta delusa, che l’amica deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni e le suggerisce di andare da uno psicoterapeuta per affrontare i suoi problemi.

La scena finale si apre su una tavolata. La conversazione rimbalza leggera su come Tom e Gerri si sono conosciuti al primo giorno di università, sui loro viaggi avventurosi. Jim e Katie partecipano al dialogo mentre la camera si muove intorno al tavolo, inquadrando prima Ronnie e poi fissandosi su Mary, entrambi estraniati dalla conversazione.

Le voci gradualmente scompaiono, la camera insiste, crudelmente, e avviluppa Mary in un muro di silenzio mentre in lei emerge la terribile consapevolezza del suo dolore.

Il film non esplora da dove proviene la profonda infelicità di ciascuno, non ci viene raccontato quasi nulla di significativo del loro passato che possa spiegare le motivazioni del comportamento di ciascuno nel presente.
La regia si sofferma magistralmente su piccoli segnali, prevalentemente non verbali, che rivelano le insicurezze emotive e sociali dei personaggi. I volti tradiscono quello che si vorrebbe mantenere privato proprio nei momenti in cui la comunicazione verbale fallisce, le espressioni fisiche scoprono le paure e le sofferenze, i desideri e la disperazione.
Senza voler entrare troppo nel linguaggio filmico, anche le inquadrature trasmettono forti messaggi di appartenenza od esclusione, contribuendo alla narrazione mediante il non verbale. A mio modesto parere, un capolavoro.

Gerri: Non sempre la vita è generosa.

Una lettura psicologica

Al termine della visione ci si può chiedere a cosa abbiamo assistito. I personaggi indubbiamente provocano molte emozioni nello spettatore. La recitazione è talmente sincera che è facile identificare in loro qualcuno che si conosce, se non addirittura se stessi.
Per ciò può essere interessante offrire alcuni spunti di riflessione attraverso delle domande, in accordo con l’intento di base del regista di non trarre conclusioni .

  • Tom e Gerri sono davvero una “coppia felice”? Apparentemente hanno una vita piena, ma osservando più da vicino si coglie che nella loro vita manca la gioia, manca una vera rete sociale, una comunità più ampia o degli eventi corali. Persino all’interno del loro ristretto gruppo di frequentazioni mancano valori condivisi.
    Si intuisce che a un livello sociale più allargato c’è una mancanza di fluidità nelle relazioni, di possibilità di sentimenti e connessione. Tutto è mostrato all’interno di quel loro piccolo cosmo chiuso, in cui sembrano occupare una salda posizione.
    La loro condizione non sembra tanto qualcosa cui aspirare ma rassomiglia via via ad una specie di copertina di Linus che li protegge dal rischio di fallimento.
  • Come mai attraggono una simile cerchia di persone derelitte?
    Il contrasto, tra la benevolenza che esprimono in pubblico e quanto la coppia si dice in privato a proposito dei problemi degli altri, ci rivela quanto sia fondamentale per Tom e Gerri essere spettatori delle vite degli altri.
    I due risultano allo stesso tempo così amichevoli e distaccati che ci si chiede se provino sincero affetto o mostrino affettazione.
    Il punto non é esprimere un giudizio su di loro, ma di capire cosa sta succedendo e perché. Seppure la loro vita non sia perfetta, hanno elaborato un modello che funziona.
    L’atteggiamento ambivalente verso i problemi reali degli altri unito al legame di codipendenza tra di loro, ha successo nel mantenere celata la verità della loro esistenza misera, priva di profondità e passione, banale e stretta fra le sue routine.
    Tom e Gerri hanno bisogno dei loro amici quanto i loro amici hanno bisogno di loro. Ciascuno, a suo modo, può sentirsi meglio grazie alla presenza dell’altro, almeno per un po’.

Gerri è una brava psicologa?

Questo punto merita un approfondimento esclusivo. In diverse reazioni che ho sentito, Gerri viene messa sotto accusa e giudicata colpevole di un comportamento particolarmente esecrabile in virtù del fatto che è consulente psicologa.

E’ un cliché particolare pensare che una persona in quanto psicologa debba avere maggiore sensibilità e responsabilità e che queste competenze dovrebbero riflettersi in ogni contesto di vita, a pena di svalutare l’intero individuo e la categoria (questo in genere accade in chi ha già una resistenza).

All’inizio del film la vediamo in veste professionale condurre un colloquio con una donna gravemente depressa che chiede delle pillole per dormire. La donna oppone un muro impenetrabile e Gerri non sembra capace di stabilire una connessione. Non compie neanche la valutazione di rischio suicidario, che si può supporre elevato nonché possibilmente  messo in atto con le pillole.
A fine colloquio Gerri tira un sospiro di sollievo. Si intuisce che in fondo spera di non rivederla.

Poche scene dopo, Gerri ha smesso i panni della professionista, é una donna che trascorre una serata fuori con un’amica.
E’ palese che Mary ha un evidente problema con l’alcool. In questo contesto Gerri assume quello che viene definito il ruolo del “complice“, ovvero lascia passare o addirittura facilita un comportamento distruttivo, e questa dinamica relazionale si ripeterà in tutte e quattro le stagioni.
La stessa omertosa complicità si ripropone a proposito dell’investimento emotivo fatto da Mary sull’automobile, chiaramente eccessivo e irrealistico.
Quando Mary incontra Katie e il suo risentimento trabocca incontrollabile, Gerri non affronta il problema con l’amica, non le parla di come si sente, ma preferisce metterla alla porta.
Ed infine, consiglia Mary di andare in terapia da un suo collega, come se volesse sbarazzarsene.

E’ essenziale qui operare una distinzione tra il rapporto che uno psicologo instaura con i propri pazienti e le relazioni personali che quello stesso psicologo ha nella sua vita.
Gerri professionista non ha offerto una prestazione eccellente. Non sappiamo se quello è il suo modo di lavorare abituale, se è stato un cattivo assortimento terapeuta – paziente o se la paziente fosse al di là di ogni possibilità di aiuto, ma é certamente difficile sostenere che sia una brava psicologa tout court.

Ma se anche il suo intervento fosse stato adeguato, essere psicologi non significa ricevere automaticamente superpoteri. Al di là della professione, ciascuno nel privato deve fare i conti con i propri bisogni e i propri limiti, e con la fatica del lavoro personale quotidiano verso la consapevolezza.
Gerri amica è in grado di accettare Mary con i suoi difetti fino ad un certo punto, ha bisogno di evitare di affrontare discorsi difficili che, se portati avanti, potrebbero anche mettere in crisi lei stessa e il suo mondo. Il suo modo di tenere a bada le sue nevrosi é costituito dall’alleanza con Tom e dall’atteggiamento evitante verso tutti gli altri.

In conclusione pare assodato che Gerri non brilli per abilità professionali e che in fondo non sia neanche una buona amica.
Quindi il cliché è confermato?

La verità è terapeutica

Può essere discutibile se una persona così prigioniera dei suoi schemi sia in grado di svolgere adeguatamente la professione di psicologa.
Nel caso di Gerri io colgo apertura alla speranza.
Il momento in cui consiglia la terapia a Mary corrisponde al momento in cui lei stessa finalmente incontra la verità. Mandarla da un altro non è indifferenza ma é il riconoscimento reale sia del disagio di lei che dei propri limiti nell’aiutarla, é offrirle una possibilità con uno strumento che sa essere efficace.
Ipoteticamente questa tappa può essere l’innesco per un lavoro personale di Gerri, che la porterà a migliorare le sue relazioni, essere più felice e diventare una terapeuta migliore. Un anno è passato ma un altro anno arriverà, e non è scritto che debba essere analogo al precedente.
Come tutti gli esseri umani, gli psicologi possono imparare dalle proprie esperienze.

Per Mary, la quasi insopportabile presa di coscienza del proprio dolore nel finale invece di rappresentare il punto di dissoluzione può essere l’inizio di una ricostruzione, se viene interpretata come il disvelamento della verità. Finalmente ha chiaro che ha bisogno di aiuto e che non lo troverà lì.

Gli eventi dolorosi portano con sé un elemento di risveglio verso la realtà e costituiscono potenzialità di ristrutturazione personale.
Per Ronnie il lutto è ancora recente e non si sa se coglierà l’occasione per mettere a posto la sua vita e la relazione con il figlio o se ricorrerà alla birra. E Carl, che ha imparato a difendersi dal dolore con la rabbia furibonda, vive la stessa circostanza.

Altri personaggi che non hanno vissuto momenti di verità, sembrano invece smarriti, semplicemente un anno più vicini alla tomba.
Tom può abilmente evitare di porsi domande esistenziali continuando a lavorare e a piantare ortaggi, Ken le domande se le pone ma poi si anestetizza con cibo e alcool.

Quanto a Jim e Katie, ancora coppia in formazione, per ora sembrano aspirare alla stessa “felicità” dei genitori di Jim, ma con un po’ di fortuna potrebbero incontrare e abbracciare dei momenti di verità nelle loro vite prima di invecchiare.

La questione ultima su cui il film ci interroga tutti quindi è: è passato un altro anno, cosa ne abbiamo fatto?

Articoli consigliati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *