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Riceve a Trieste

Chi non conosce Bobby McFerrin e la sua famosissima Don’t Worry, Be Happy? Eccolo qui in vesti inusuali tra i relatori di un convegno scientifico intitolato “Note e Neuroni: in cerca del coro comune” sviluppatosi nell’ambito del World Science Festival 2009 svoltosi a New York City nel giugno scorso.

Tra il conduttore di programmi musicali e talk show John Shaefer e gli altri esperti presenti sul palco – Jamshed Bharucha, Rettore e Vicepresidente Senior della Tuft University, Daniel Levitin, Professore di Psicologia e Neuroscienze alla McGill University e Lawrence Parsons, Professore di Neuroscienze Cognitive all’Università di Sheffield – è seduto lui, Bobby McFerrin, che a un tratto si alza e coinvolge nel canto la platea di scienziati e ricercatori guidandoli in qualità di conduttore di coro saltellante.
La platea lo segue, ed è sorprendente quando Bobby McFerrin intona un controcanto sulla base musicale che la platea continua a cantare in modo incredibilmente intonato anche quando Bobby, con i saltelli, introduce nuove note.
Lo scopo di questo semplice esperimento, che lascia tutti con un senso di deliziosa meraviglia, è di dimostrare che la scala pentatonica – sulla quale è stato impostato il coro improvvisato con una platea composta da comuni individui dal punto di vista musicale – è naturale e universale.

La musica infatti è un linguaggio universale ma ci sono anche aspetti molto specifici di alcune culture. Nella cultura occidentale, ad esempio, molte canzoni folcloristiche sono basate sulla scala pentatonica, ma anche molti Spiritual – come ad esempio Amazing Grace -, e il tema principale del film Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo lo sono. Ci sono poche cose più umane della musica: non è difficile pensare ad un gruppo primitivo attorno al fuoco da cui la musica, ritmo e melodia, sgorghi naturalmente.
Ciò che ci si chiede allora è se fra tutte le musiche del mondo vi sia una base comune.

Una cosa molto interessante a questo proposito è che in un gruppo quasi tutti provano un desiderio spontaneo di partecipare a un coro, di divenire parte di qualcosa, di una comunità con qualche forma di relazione. Come afferma Elias Canetti nel suo Massa e Potere, provando ripugnanza e timore ancestrale di essere toccato da ciò che gli è estraneo, l’uomo ha creato una serie di distanze intorno a sé. “Solo nella massa l’uomo può essere liberato dal timore di essere toccato. E’ l’unica situazione in cui tale timore si capovolge nel suo opposto.” L’essere massa dunque provoca un enorme sollievo da queste tensioni, dal carico della distanza e fa sì che tutti si sentano uguali. La musica condivisa quindi potrebbe essere uno dei modi in cui l’individuo può superare il suo senso di solitudine e l’angoscia e accedere a qualche istante di felicità.

E’ indubitabile che la musica faccia crescere più velocemente la coesione sociale tra sconosciuti. Un esempio impressionante si ebbe durante la tre giorni di Woodstock del 1969, quando almeno 500.000 persone crearono e vissero un’atmosfera di “peace and love” caratterizzata da collaborazione e solidarietà in una situazione molto difficoltosa a causa del clima, della scarsità di igiene e di presidi sanitari.

Negli altri interventi della conferenza si è discusso come questa capacità musicale sia implementata nel sistema nervoso e se vi sia una sorta di pre-configurazione mentale che la sostiene. Le neuroscienze in generale si interessano a tutti i comportamenti umani, in tutte le loro manifestazioni, e studiano come i neuroni comunicano tra loro. In questo caso specifico i neuroscienziati hanno cercato di capire “dove” sia la musica nel nostro cervello e come questo fenomeno percettivo, cognitivo ed emotivo si verifichi. La risposta è che non esiste una parte del Sistema Nervoso Centrale (SNC) specializzata per la musica, la musica coinvolge le attività del SNC – e il corpo – nel suo complesso con un funzionamento in modalità parallela suscettibile di apprendimento.
Chi fosse interessato, può ascoltare l’intera conferenza (in inglese) qui.

Postilla: un’amica musicista mi ha fatto notare che l’ultima nota che viene cantata non appartiene alla scala pentatonica. Non so se questo possa inficiare l’intero esperimento che, tuttavia, non è da considerare un esperimento scientifico ma una dimostrazione estemporanea, quasi anedottica, anche se Bobby McFerrin dichiara che questo accade sempre, con tutte le platee di qualunque paese del mondo.

* Articolo già comparso sull’Osservatorio Psicologia nei Media.

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