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Un video di 100 secondi, muto, apparentemente noioso. Eppure si tratta della testimonianza di un esperimento riuscito: un giovane è riuscito a twittare con l’uso del pensiero. L’esperimento risale al 1° aprile scorso e Adam Wilson, un ricercatore del Dipartimento di Ingegneria Biomedica dell’Università del Wisconsin Madison, viene ripreso mentre utilizza il suo elettroencefalogramma per inviare un messaggio.

Wilson fa parte di un gruppo di ricercatori che lavorano su sistemi di comunicazione per persone che non possono usare il proprio corpo ma il cui cervello funziona normalmente, come ad esempio persone affette da Sclerosi Laterale Amiotrofica o che hanno subito delle lesioni spinali.
L’interfaccia cervello-computer utilizza un casco con elettrodi collegato ad un computer che registra l’attività cerebrale. Gli elettrodi registrano i segnali elettrici del cervello, cioè i pensieri, e li traducono in azioni fisiche, come ad esempio spostare un cursore sullo schermo di un computer. Inizialmente la ricerca si era mossa su questa linea ma, rendendosi conto che il problema principale delle persone affette da paralisi gravi è comunicare, i ricercatori hanno sviluppato una semplice interfaccia di comunicazione basata sull’attività cerebrale in relazione a dei cambiamenti che avvengono sullo schermo.
Questo è stato possibile attraverso il software BCI2000, un sistema generale per le interfacce cervello-computer (BCI) che processa i segnali in tempo reale, disponibile gratuitamente per scopi di ricerca ed educativi. Per molto tempo il suo utilizzo è stato limitato nell’ambito di esercizi scientifici, ma non realmente utile per la vita quotidiana.

L’interfaccia consiste di una tastiera che compare sulla schermata di un computer, e ciascuna delle lettere lampeggia singolarmente. Quando il cervello si concentra, ad esempio, sulla R, e sono le altre lettere a lampeggiare, non accade nulla, mentre quando lampeggia la R il cervello coglie il movimento e questo comporta una variazione dell’attività cerebrale. Man mano che ci si impratichisce con il sistema, si diventa sempre più veloci nell’utilizzarlo per comporre messaggi, fino a riuscire a mandare 10 caratteri al minuto.

Riuscire a utilizzare i social network è qualcosa di molto desiderato dalle persone con gravi disabilità fisiche, ancora più della possibilità di inviare email che, ad ogni modo, risulta abbastanza impegnativo con questo sistema. Twitter invece è molto più accessibile, in quanto permette la pubblicazione immediata del tweet, un breve messaggio, sulla pagina del profilo, in modo che le persone interessate possano leggerlo facilmente e sapere cosa sta facendo la persona e come sta.

La ricerca continua. Nel futuro si immagina di poter aiutare le persone a controllare delle protesi robotiche o addirittura dei rivestimenti corporali, simili a esoscheletri, che restituiscano una funzionalità al corpo, ma il problema che i ricercatori stanno cercando di risolvere attualmente, è come riuscire a integrare nelle case un simile sistema in modo che i caregiver possano riuscire a gestirlo senza aiuti esterni e che le persone con disabilità neurologiche abbiano un immediato miglioramento della loro qualità di vita.

* Articolo già pubblicato su Osservatorio Psicologia nei Media.

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1 commento

  1. Mi sembra un esempio di un buon utilizzo della tecnologia per fare del bene, invece che per isolarci sempre più in mondi virtuali. Molto interessanti i contenuti del suo sito, comunque, dottoressa, complimenti!

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